Monterosso, un cantiere ambulante
"Ma a Pasqua torneremo paradiso"
Quattro mesi dopo l'alluvione i segni sono ancora evidenti ma gli abitanti non si sono mai arresi lottando per riprendersi dal disastro
dall'inviato MASSIMO CALANDRI
La via principale ancora un cantiere
MONTEROSSO - Quattro mesi dopo c'è ancora un leggero strato di terra che non se ne vuole andare. Copre il selciato dei vicoli e quel che resta dei marciapiedi. Impregna i muri esterni delle case del borgo, si annida tra le crepe. Riveste rami e foglie dei pochi alberi sopravvissuti nei giardini. Da allora hanno provato a toglierlo ogni santo giorno, ma spazzoloni e sapone sono inutili. Forse in estate il sole l'asciugerà e lo scirocco se lo porterà via. Ma intanto resta lì, leggero eppure pesante. Come un velo a lutto. Su Monterosso a Mare e il paradiso delle Cinque Terre.
Un cantiere ambulante. Il paese è un cantiere ambulante. La strada che porta al mare è ingombra di detriti, in attesa di qualcuno che li porti via. Rumore di colpi di martello, cavi corrugati di plastica che penzolano dalle finestre, carriole. Mattoni, fili elettrici. C'è gente continua a ripulire le cantine, esce all'aperto con cassette piene di oggetti sporchi di fango secco, da buttare. L'acqua corrente viene e va, si fa a turno coi secchi. Agli angoli ci sono ancora sacchetti di sabbia.
"Parlate di Monterosso. Raccontatela com'era e com'è. Scrivete, vi prego". Angelo Betta, il sindaco, vuole che se ne parli. Perché oggi, spiega, la paura è quella di essere dimenticati. Sepolti dal ricordo di quell'alluvione, che ormai sembra rimossa dagli occhi e dalle coscienze di chi qui non ci è mai tornato, dopo la tragedia. Quattro mesi sono lunghi, quelle immagini drammatiche - Sandro Usai, il volontario ghermito dalle onde mentre cerca di mettere in salvo alcuni turisti; il fiume di fango che porta si via tutto; l'acqua che raggiunge i balconi, i soccorsi che si muovono in canoa dove fino a poche ore prime si parcheggiava con l'auto - sono già nell'archivio della memoria. Bisogna venire qui e guardare negli occhi queste persone, per rendersi conto che è solo il giorno dopo la fine del mondo.
Una Pasqua di resurrezione. "Ma questa è gente che non si arrende" dice Betta. Indica il simbolo della città, sopra il rosone della chiesa di San Giovanni Battista. Tre colline. Che sono a fianco delle insegne papali. "A fianco, e non sotto. Perché anche in passato noi non ci siamo mai piegati a nessuno. Nemmeno al Papa. Perché sappiamo resistere a tutto, noi".
Anche alla fine del mondo. Anche alla notte del 25 ottobre. "Non è facile, ma ce la faremo. Il paese sta ripartendo. C'era già stata un'alluvione, nel 1966. E quella volta la mia famiglia ha vissuto un anno e mezzo senza casa. Ce l'abbiamo fatta allora, ce la faremo questa volta". L'obiettivo è rimettere in ordine la maggior parte delle strutture ricettive, e i negozi. Niente più asfalto in via Roma, la strada centrale che era diventata un inferno. E niente più auto. Sarà solo pedonale. Coperta di legno di sandalo. E sotto, il corso del torrente più ampio, libero. Delle grate protettive nei vicoli più stretti, lungo il passaggio che porta all'asilo. "Abbiamo ripensato il paese dal punto di vista idraulico, scavando e allargando nei punti giusti".
a devastazione ha permesso di ricominciare seguendo criteri diversi da quelli di mezzo secolo fa. "Nuovi impianti elettrici, l'Adsl. Basta pericoli, abbiamo diritto di vivere in pace". E' una lotta dura, perché mancano i finanziamenti. E soprattutto manca il tempo. "Vogliamo essere pronto per il giorno di Pasqua, l'otto aprile. Per le vacanze, per i turisti. Arriveranno, e troveranno un borgo bello come prima. Con il suo panorama, la costa, l'accoglienza di sempre. E da quel giorno ricominceremo a vivere".
Gente che non si arrende. Giù in fondo, in faccia al mare, passa la ferrovia. Lo slargo diventerà un parco giochi per i piccoli, con aiuole in ardesia e sassi. Poco sopra sale la collina e porta alla scuola Enrico Fermi con i suoi cento bambini che da allora sono distribuiti un po' dovunque, perché l'istituto è chiuso. Minacciato da due grandi frane. E poi l'alluvione ha crepato i muri, danneggiato il tetto, distrutto la centrale elettrica l'impianto di riscaldamento. Tutti i computer del piano terra, che erano stati appena comprati, sono andati perduti per sempre.
La raccolta di fondi della Repubblica e di Sky ha superato quota 330.000 euro, denaro che permetterà di riaprire la scuola a settembre. "Ma serve che arrivi presto il via libera dalla Regione, che sta gestendo il finanziamento. Faremo una variazione di bilancio, una gara d'appalto e in estate partiranno i lavori. Perché siamo gente che non si arrende, a Monterosso. Perché questo velo di terra se ne deve andare via".
"Ma a Pasqua torneremo paradiso"
Quattro mesi dopo l'alluvione i segni sono ancora evidenti ma gli abitanti non si sono mai arresi lottando per riprendersi dal disastro
dall'inviato MASSIMO CALANDRI
La via principale ancora un cantiere
MONTEROSSO - Quattro mesi dopo c'è ancora un leggero strato di terra che non se ne vuole andare. Copre il selciato dei vicoli e quel che resta dei marciapiedi. Impregna i muri esterni delle case del borgo, si annida tra le crepe. Riveste rami e foglie dei pochi alberi sopravvissuti nei giardini. Da allora hanno provato a toglierlo ogni santo giorno, ma spazzoloni e sapone sono inutili. Forse in estate il sole l'asciugerà e lo scirocco se lo porterà via. Ma intanto resta lì, leggero eppure pesante. Come un velo a lutto. Su Monterosso a Mare e il paradiso delle Cinque Terre.
Un cantiere ambulante. Il paese è un cantiere ambulante. La strada che porta al mare è ingombra di detriti, in attesa di qualcuno che li porti via. Rumore di colpi di martello, cavi corrugati di plastica che penzolano dalle finestre, carriole. Mattoni, fili elettrici. C'è gente continua a ripulire le cantine, esce all'aperto con cassette piene di oggetti sporchi di fango secco, da buttare. L'acqua corrente viene e va, si fa a turno coi secchi. Agli angoli ci sono ancora sacchetti di sabbia.
"Parlate di Monterosso. Raccontatela com'era e com'è. Scrivete, vi prego". Angelo Betta, il sindaco, vuole che se ne parli. Perché oggi, spiega, la paura è quella di essere dimenticati. Sepolti dal ricordo di quell'alluvione, che ormai sembra rimossa dagli occhi e dalle coscienze di chi qui non ci è mai tornato, dopo la tragedia. Quattro mesi sono lunghi, quelle immagini drammatiche - Sandro Usai, il volontario ghermito dalle onde mentre cerca di mettere in salvo alcuni turisti; il fiume di fango che porta si via tutto; l'acqua che raggiunge i balconi, i soccorsi che si muovono in canoa dove fino a poche ore prime si parcheggiava con l'auto - sono già nell'archivio della memoria. Bisogna venire qui e guardare negli occhi queste persone, per rendersi conto che è solo il giorno dopo la fine del mondo.
Una Pasqua di resurrezione. "Ma questa è gente che non si arrende" dice Betta. Indica il simbolo della città, sopra il rosone della chiesa di San Giovanni Battista. Tre colline. Che sono a fianco delle insegne papali. "A fianco, e non sotto. Perché anche in passato noi non ci siamo mai piegati a nessuno. Nemmeno al Papa. Perché sappiamo resistere a tutto, noi".
Anche alla fine del mondo. Anche alla notte del 25 ottobre. "Non è facile, ma ce la faremo. Il paese sta ripartendo. C'era già stata un'alluvione, nel 1966. E quella volta la mia famiglia ha vissuto un anno e mezzo senza casa. Ce l'abbiamo fatta allora, ce la faremo questa volta". L'obiettivo è rimettere in ordine la maggior parte delle strutture ricettive, e i negozi. Niente più asfalto in via Roma, la strada centrale che era diventata un inferno. E niente più auto. Sarà solo pedonale. Coperta di legno di sandalo. E sotto, il corso del torrente più ampio, libero. Delle grate protettive nei vicoli più stretti, lungo il passaggio che porta all'asilo. "Abbiamo ripensato il paese dal punto di vista idraulico, scavando e allargando nei punti giusti".
a devastazione ha permesso di ricominciare seguendo criteri diversi da quelli di mezzo secolo fa. "Nuovi impianti elettrici, l'Adsl. Basta pericoli, abbiamo diritto di vivere in pace". E' una lotta dura, perché mancano i finanziamenti. E soprattutto manca il tempo. "Vogliamo essere pronto per il giorno di Pasqua, l'otto aprile. Per le vacanze, per i turisti. Arriveranno, e troveranno un borgo bello come prima. Con il suo panorama, la costa, l'accoglienza di sempre. E da quel giorno ricominceremo a vivere".
Gente che non si arrende. Giù in fondo, in faccia al mare, passa la ferrovia. Lo slargo diventerà un parco giochi per i piccoli, con aiuole in ardesia e sassi. Poco sopra sale la collina e porta alla scuola Enrico Fermi con i suoi cento bambini che da allora sono distribuiti un po' dovunque, perché l'istituto è chiuso. Minacciato da due grandi frane. E poi l'alluvione ha crepato i muri, danneggiato il tetto, distrutto la centrale elettrica l'impianto di riscaldamento. Tutti i computer del piano terra, che erano stati appena comprati, sono andati perduti per sempre.
La raccolta di fondi della Repubblica e di Sky ha superato quota 330.000 euro, denaro che permetterà di riaprire la scuola a settembre. "Ma serve che arrivi presto il via libera dalla Regione, che sta gestendo il finanziamento. Faremo una variazione di bilancio, una gara d'appalto e in estate partiranno i lavori. Perché siamo gente che non si arrende, a Monterosso. Perché questo velo di terra se ne deve andare via".
..ma possibile che a Monterosso comandi anche chi non è investito di nessuna carica pubblica? dopo l'alluvione si sono succedute una serie di monterossini ai vari posti di comando che ti dicevano cosa dovevi fare cosa no, che diritti avevi (chissà poi perchè non ho gli stessi suoi diritti visto che sono un cittadino come lui)..ancora oggi ci sono parenti stretti di amministratori comunali che dirigono ditte di lavoro operanti nel paese e decidono senza alcun diritto sui lavori in corso per non parlare poi della gestione di tutta la merce che è stata donata a questo comune dai generi alimentari, a vestiti di pregiata marca a tute e scarpe da ginnastica e chi più ne ha più ne metta.........
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